Archive for aprile 2009

solo perchè sto perdendo non significa che sono perduta
21 aprile 2009

E’ stato bello. E’ stato emozionante. E’ stato, soprattutto, perfetto.

Che sia chiaro: a me era passata qualsiasi voglia possibile di laurearmi. Non nel senso dell’atto in sè, ma del trascorrere la giornata della mia laurea. Le famiglie incasinate hanno questo enorme difetto: quando devono riunirsi per qualche evento formale, salta fuori tutta la merda. E’ saltata fuori, immancabilmente. E io ho passato i giorni da mercoledì a domenica con una voglia sempre minore di arrivare al momento topico. Invece poi le cose si sono sistemate, in modo più o meno positivo, nello svolgersi della giornata.

La sera prima avevo i dolori del ciclo, un accenno di raffreddore e mal di testa. E uno scazzo terribile.

La mattina non sapevo bene cosa pensare, appena sveglia. Dopo quattro ore di sonno, oltretutto.

Poi mi sono vestita truccata messa a posto e sono uscita sottobraccio alla mia donna. Ho raggiunto l’aula, dove c’era già la mia streghetta carica di sacchi con dentro varie cose. E tre girasoli.
Poi sono arrivati mamma papà fratello nonno zia ed Ele. La zia mi ha portata via e quando sono tornata l’università era tappezzata di foto mie veramente allucinanti in stato di etilismo totale o cose del genere, con a fianco commenti vari.. la Streghetta aveva iniziato a colpire. Spettacolare. Risate.
Poi siamo entrati. Ci siamo seduti. E dopo poco mi hanno chiamata. Il Giampi se ne stava lì di fronte a me. Mi ha chiamata SIGNORA [ma vedi de non portamme sfiga , a giampà]. Io sono partita con la mia presentazione powerpoint dodiciminuti, intanto sia lucia che la eli filmavano. Ho finito. Il Giampi, da buon relatore, ha fatto la presentazione della mia tesi. Innanzitutto questa tesi è davvero ammirevole per l’eccelsa qualità di scrittura. CAZZO. Puoi anche fermarti qui. Sto bene così. Questa frase non me la dimenticherò mai. Eccelsa qualità di scrittura. Porca puttana. Poi altre osservazioni e complimenti vari. Poi la lettera del correlatore. Anche lui diceva che era scritta strabene e poi ha fatto delle osservazioni davvero intelligenti. Poi si sono ritirati, sono tornati, mi sono alzata in piedi.

E il Giampi l’ha detto. Sì perchè oltre che mio relatore era anche il presidente della Commissione. Signora [eccheccazzo ancora!?!?] FR, la commissione ha accettato la sua domanda di laurea e ha valutato la sua tesi con il massimo dei punti. La dichiaro pertanto dottoressa in comunicazione interculturale e multimediale con una valutazione di 110 su 110.

110.

Gli stringo la mano. E da quel momento non capisco più niente.

E’ finita. E’ finita. Sono talmente stordita che quasi mi dimentico di stringere la mano a tutti gli altri membri della commissione. Applaudono ma io neanche lo sento, me l’hanno detto dopo che c’è stato un applauso prolungato. E’ finita fiorè.

Ho pensato di scrivere un libro, ultimamente.
Vorrei iniziarlo con l’immagine di me sul minuetto che mi riporta a Biella dopo essere stata a Torino, alla stazione, il 2 dicembre. Qualcosa del tipo:
“Pensa almeno che se fosse stato uno di quei regionali degli anni Settanta sarebbe stato molto peggio. I cessi lì sono minuscoli e orribili. Quelli del minuetto almeno hanno una parvenza di pulizia. Che poi c’era quel servizio delle Iene che faceva vedere che spesso sono più puliti i cessi dei sedili, sui treni italiani… Ma a che cazzo sto pensando?”. F solleva la testa, stacca la mano dal muro sovrastante il water, il suo punto d’appoggio per quel minuto e mezzo di conati e lacrime. Si gira verso il lavandino e si sciacqua la bocca. Non ha neanche un chewing-gum per levarsi quel gusto di vomito che conosce così bene.
Poi alza la testa e si guarda allo specchio. E’ di carnagione chiarissima e il suo viso è sempre pallido, ma il tono biancastro che vede riflesso è quello tipico di quando ha appena vomitato. Gli occhi sono ancora lucidi di lacrime e semichiusi. Le piacerebbe scattare una fotografia, per avere sempre quell’immagine a ricordarle, in futuro, cosa non vuole provare mai più. Appoggia entrambe le mani sul lavabo, si fissa con lo sguardo stravolto e si dice:
“Senti, tu mi hai rotto veramente le scatole. Non voglio sentire ragioni. TU AD APRILE TI LAUREI. Hai capito? Non accampare scuse sul periodo orribile che stai passando. Ad aprile tu sarai dottoressa. Intesi? Devi e puoi. E se non lo vuoi, impara a volerlo con ogni fibra del tuo corpo.”

Perchè è così che è andata, quel giorno. E sarebbe bello scriverlo. Farlo sapere a tutto il mondo, che sono riuscita a mantenere fede alla parola che ho dato a me stessa. Mi sono laureata. Non dirò che non mi sono lasciata corrodere da tutta la merda che mi è volata addosso. Perchè sono corrosa, in qualche modo. Mangiucchiata. Lo sono stata. Ma sono stata più forte. In un certo senso.

Per questo io non capivo più niente, in quel momento e fino a che non ci siamo seduti al locale per l’aperitivo. Perchè è finita e io ce l’ho fatta. Ho dimostrato qualcosa a me stessa e lo faccio raramente.

Ulteriori dettagli in seguito. Adesso ho una Eos 450D che aspetta di essere consumata a forza di scatti.

just because I’m losing, doesn’t mean I’m lost.
(Lost . coldplay)

non vedo l’ora che sia il 21.
15 aprile 2009

altrimenti detto:

avere una famiglia di merda.

altrimenti detto:

avere una famiglia non-famiglia.

altrimenti detto:

avere una famiglia i cui membri fanno del “lascia correre e facciamo come se non fosse successo niente” il loro unico stile di vita. e se uno di questi membri, poniamo l’ultimo in ordine di età, poniamo la sottoscritta, decide che si è rotto i coglioni di questo stile di vita che le fa sgretolare l’autostima, la capacità di viversi le emozioni e tanto altro da più o meno otto anni, e decide di iniziare un percorso di chiarificazione e soprattutto di trasparenza, sarà quel membro a prendersela nel culo.
nel giorno della sua laurea, oltretutto.

altrimenti detto:

il lato positivo a sto giro non lo trovo. no.

ribadisco. io voglio svegliarmi il 20, andare nell’aula, non guardare neanche chi c’è dentro, fare la mia presentazione, ascoltare il verdetto, uscire, andare a letto e svegliarmi il giorno dopo. il resto lo faranno gli altri. io volevo solo laurearmi con le persone che contano davvero vicine. non con a fianco persone che mi hanno disintegrata.
va bene cara: se non punti i piedi stavolta, non li punti più. fai sta telefonata.

Metafisica dei tubi
13 aprile 2009

E fu così che feci conoscenza con Amélie Nothomb. E con la sua sagacia.
Ho il vago sospetto che non proseguirò a breve nella lettura di libri suoi. Ho un impellente bisogno di leggere qualcosa di Cortazàr, e poi dopo aver visto Paul Auster da Fazio nella puntata speciale su Saviano voglio davvero leggere la trilogia di New York. E poi mi piacerebbe tanto leggere McMafia.

breve inciso: Pasqua = io e il mare. sì, c’era un bel sole [nonostante le previsioni] e siamo andati al mare. e io stavo seduta sugli scogli con l’infinito davanti e ho pensato che.
perchè il punto è che secondo me vivere in una città col mare ti cambia la vita. questo, naturalmente, implica che tu non abbia mai vissuto in un luogo di mare. innanzitutto, perchè ti restituisce un senso di finitezza che spesso perdi, se non c’è il mare. quando cammini in un luogo di montagna o comunque non bagnato da masse d’acqua più o meno gigantesche, puoi andare avanti per tutto il tempo che vuoi. non c’è mai niente che ti ferma. casomai un passaggio a livello chiuso, o un ponte crollato. allora ti devi fermare. però vedi la prosecuzione del lembo di terra sul quale ti trovi, oltre quell’impedimento: la vedi. come se potessi andare avanti all’infinito. camminare in un luogo di mare equivale a giungere, prima o dopo, alla barriera. non si può andare più in là di così. o meglio, si può fare, ma non così agevolmente come mettere i propri passi uno in fila all’altro. c’è una finitezza, che è la propria, che viene evidenziata. e a volte uno si perde talmente tanto nella commiserazione dei suoi pensieri e delle sue tristezze che gli sembra che non ci sia mai una fine. invece c’è, guardala qui. e questo è un gran merito, del mare.
e poi allo stesso identico tempo avere la possibilità di stare a contemplare il fatto che si è finiti, di fronte al mare, rimanda necessariamente all’infinto. perchè non si vede altro che l’azzurro che si perde fino a confondersi con il cielo, senza rendersi bene conto di che cosa succede davvero, là in fondo, e sapendo che quel “là in fondo” oltretutto è un luogo fittizio destinato a spostarsi insieme al nostro movimento. perchè il mare non finisce, e se finisce è davvero in un momento impercettibile che non si riesce a imprimere [e ce l’ha insegnato Baricco questo]. io sono nata in montagna e ho vissuto per sedici anni in un paese a 800 metri d’altezza. dal balcone di casa si vedeva un panorama non indifferente. ma la linea dell’orizzonte era sempre netta, precisa, si distingueva immediatamente dove finiva la terra e dove iniziava il cielo. al mare questa linea è molto più indefinita. l’indefinitezza rimanda all’infinito, l’infinito stimola il flusso di coscienza. il flusso di coscienza può essere davvero una salvezza a volte. sempre ricordandosi che siamo infiniti ma anche finiti.
io penso di aver molto bisogno del mare. e penso anche che se non avessi vissuto in montagna per tutti questi anni ora non capirei le possibilità e le sottigliezze di un dettaglio geografico come questo. i campanacci delle mucche al pascolo, le voci dei grilli e delle cicale che mi svegliavano al mattino, il dialetto piemontese e le parate degli alpini, i ricordi dei nonni partigiani e il sale sulle strade per prevenire il ghiaccio in inverno mi hanno insegnato e regalato una serie di cose. adesso credo di aver appreso più o meno tutto quello che potevo apprendere, e voglio qualcos altro.

comunque. tornando alla nothomb:

“Vivere vuol dire rifiutare. Chi accetta ogni cosa non è più vivo dell’orifizio di un lavandino. Per vivere bisogna essere capaci di non mettere più sullo stesso piano, al di sopra di sè stessi, la mamma e il soffitto. Bisogna rinunciare a uno dei due e decidere di interessarsi o alla mamma o al soffitto. L’unica scelta sbagliata è quella di non fare una scelta.”

“Ci sono imprevisti fisici e imprevisti mentali. Ma la gente nega decisamente l’esistenza di questi ultimi: non se ne parla mai come motori dell’evoluzione. Eppure non c’è niente di più fondamentale, nel divenire umano, degli imprevisti mentali.”

“Il diletto rende umili e colmi di ammirazione nei confronti di ciò che l’ha reso possibile; il piacere sveglia lo spirito spingendolo alla virtuosità e alla profondità. E’ una magia talmente potente che, in mancanza di voluttà vera e propria, la sola idea è già sufficiente. Dal momento che esiste questa nozione, l’essere può ritenersi salvo. E la trionfante frigidità, invece, è condannata alla celebrazione del suo proprio niente. Nei salotti si incontrano persone che si vantano, a voce alta e convinta, di essersi private per venticinque anni di questa o quella delizia. Si incontrano anche grandissimi idioti che si gloriano di non ascoltare mai musica, di non aprire mai un libro o di non andare mai al cinema. Ci sono anche quelli che sperano di suscitare ammirazione per la loro assoluta castità. Dopotutto è giusto che se ne vantino: non avranno altre soddisfazioni nella vita.”

“Alla lista infinita dei quesiti umani senza risposta bisogna aggiungere questo: cosa passa per la testa dei genitori ben intenzionati quando, non contenti di farsi delle stranissime idee sui figli, prendono delle iniziative al posto loro?”

“Mi capita di pensare che l’unica nostra specificità individuale risieda in questo: dimmi cosa ti disgusta e ti dirò chi sei. Le nostre personalità non servono a niente, le nostre inclinazioni sono una più banale dell’altra. Solo le nostre repulsioni ci dicono chi siamo veramente.”

I left my soul there
down by the sea.
(sea . morcheeba)

ready, set, go
9 aprile 2009

Ebbene.

Il 20 aprile alle 9.30, in Aula Volta, la sottoscritta si laurea. Buona parte delle persone che vorrebbe con sè non ci saranno (Chiara, Frà, Lilli – giustificata perchè in quel momento si starà laureando pure lei! -, Viviana, Elisa, Paolo, Luis, i nonni, Angelo e altri). La sottoscritta rigrazia per l’attenzione e l’affetto tutti quelli che le hanno donato sia una che l’altro, in questi tre anni e mezzo, anche se ad intermittenza, anche se solo per un periodo, anche se in modo un po’ strano. La sottoscritta ci tiene a sottolineare che sa benissimo che da sola non ce l’avrebbe fatta e che le persone che stanno nella pagina dei ringraziamenti sono state e/o sono e/o saranno importanti e fondamentali, ognuna a modo suo. C’è solo una persona, in questi tre anni e mezzo, che la sottoscritta si vergogna di aver frequentato. Sì, quello là, quello quasi denunciabile per stalking. E non l’ha ringraziata, questa persona. In realtà a modo suo ha “contribuito” anche lui a quello che la sottoscritta è diventata e sta diventando. Resta il fatto che il modo migliore per definire il soggetto è e resta “nuddu ammiscatu cu nenti” [io ci ho provato a tradurlo in italiano o a cercare un equivalente in altri dialetti, ma non rende. spiacente].

Comunque sì, mi laureo. Probabilmente a centodieci ce la facciamo ad arrivare. Il mio relatore mi ha fatto un sacco di complimenti riguardo la mia tesi, io e la mia povera autostima ringraziamo.

Il punto è che a me non frega più di tanto della laurea in sè. In modo particolare per il fatto che, appunto, un sacco di gente che vorrei avere vicina non ci sarà. Quello per cui non sto nella pelle è ciò che accadrà il due maggio, quando andrò a Malpensa a prendere un aereo che mi porterà a Roma, da Lilli, fino al sei maggio, quando prenderò un treno che mi porterà a Napoli, da Chiara, fino all’undici maggio, quando prenderò un aereo che mi porterà a Palermo, da Viviana, fino al quindici maggio, quando prenderò un aereo che mi riporterà a Milano.

A Roma potrò bearmi finalmente della presenza fisica di Lilli, che sarà sicuramente un’esperienza memorabile. Vedrò l’Urbe, che non ho ancora visto ed è proprio un sacrilegio. Respirerò un sacco di storia e di meraviglia, e guarderò Lilli e posso già immaginare quello che penserò, ma non lo immagino per non levarmi la sorpresa.

A Napoli ci sarà Chiara e anche Luca, andrò all’Orientale a chiedere delucidazioni su due lauree specialistiche di scienze politiche che mi strastrapiacciono, sentirò un po’ di cose per il servizio civile e poi lascerò che Chiara mi trascini nel suo mondo e nella sua magnifica città, tra camere oscure e musei e locali. Mangerò i biscotti all’amarena e la pizza più buona del mondo. Ma soprattutto starò con quella meraviglia là. La responsabile della mia salvezza di fine 2008.

A Palermo la mia adorata Vivianina mi ospiterà mentre andrò a sentire al centro orientamento cos’hanno da dirmi su alcune lauree specialistiche, e poi chiederò come funziona sto fatto del servizio civile in università. Rivedrò Luca e Dario e Daniela e Tì e la Campi e mangerò le arancine e il pane con le panelle tanto da togliermi la voglia. Ché ancora non si sa se l’anno prossimo ne potrò avere quante ne voglio. Magari potrò avere biscotti all’amarena a volontà perchè sarò a Napoli.

No, non ho ancora deciso. Questo giro è fatto apposta per vedere cosa meglio si incastra con me. O in quale dei due posti mi piaccio di più. E non è nemmeno detta che alla fine andrò in una di queste due città. Sono stata invitata a Catania, per l’estate. E del resto c’è una specialistica in diplomazia molto bella, a Genova. Però Genova è troppo vicina a casa, credo.

Il punto non è avere ancora deciso o meno. Il punto è che sto davvero per andarmene. Il punto è che ho bisogno di qualcosa di nuovo, per me. E non vedo l’ora. Sono terribilmente stanca di questo nord, sono stanca della persona che gli altri, qui, si attendono che io sia.
Ho capito perfettamente cosa non sono. Io non sono una fighetta di provincia. Non sono una persona che fa del pettegolezzo l’argomento di tutte le sue conversazioni. Non sono una che parte dal presupposto che comunque essere di buona famiglia è fondamentale, per un potenziale “ragazzo”. Non sono una che architetta strategie malsane alle spalle degli altri. Non sono una che organizza il sabato sera con quattro giorni di anticipo. E non sono nemmeno una che ama ostentare sè stessa.
Non ho ancora capito bene cosa sono. Ma so che sono una cazzona ribelle che quando succedono cose schifose vuole scendere in piazza e protestare. Sono una che non crede al “tanto non cambierà mai niente”. Sono una persona altruista. Sono una persona che sa prendersi a cuore problemi non suoi. Sono una persona che vuole lottare tutta la vita. Sono timida, ma molto appassionata ed espansiva con persone espansive. Sono tranquilla, sciallosa. Sono nevrotica solo quando gli altri lo sono. E, scoperta dell’ultim’ora, sono una persona che ha delle cose da dire. E’ stata la tesi a farmelo capire davvero. 83 pagine, due citazioni. Nella mia tesi praticamente non c’è bibliografia, è tutta roba scritta di pugno mio. E mi hanno fatto i complimenti, per questo. E ciò significa necessariamente che ho qualcosa da dire, e questo qualcosa non fa poi neanche così schifo. Non è neanche tanto inconsistente come pensavo.

Io. Devo. Esprimermi.

E non è a Pavia, nè Biella, nè alle persone che ci vivono che voglio far conoscere quello che ho dentro.

Io per me voglio il meglio. E il meglio per me non risiede qui.

Pronti, partenza, via.

But the film is a saddening bore
for she’s lived it ten times or more.
(life on mars . david bowie)